Livelli di assistenza in Lombardia - Tra le aree critiche, il buco nero delle cure palliative
In tutta Italia deve essere assicurata in modo uniforme l'assistenza sanitaria. C'è una norma precisa che elenca tutte le attività che devono essere garantite: si tratta dei Livelli essenziali di assistenza (i cosiddetti Lea) previsti dal Dpcm 12-01-2017, facilmente reperibile in rete.
Ad esempio, per chi è affetto da celiachia, l'articolo 14 prevede l'obbligo della fornitura gratuita dei prodotti senza glutine; mentre il 34 stabilisce la durata dei vari tipi di riabilitazione che il servizio sanitario nazionale deve assicurare.
L'assistenza sanitaria prevista dai Lea è un obbligo previsto dalla Costituzione, quindi un diritto fondamentale.
Periodicamente, un apposito dipartimento del ministero della Salute pubblica un Rapporto su come vengono effettivamente applicati Lea in ciascuna regione, analizzando, con 88 indicatori, i tre tipi di Lea previsti dal decreto: prevenzione collettiva e sanità pubblica; assistenza distrettuale; assistenza ospedaliera.
Recentemente è stato pubblicato il Rapporto relativo al 2023: purtroppo, ancora una volta, l'impressione che se ne ricava è quella di una profonda spaccatura tra regioni del centro nord e regioni del sud, spaccatura destinata ad aumentare qualora diventasse operativa la norma sulla "Autonomia differenziata".
Per restare alla Lombardia, i punteggi sono: 95/100 per l'area della prevenzione (4° posto con la Toscana; meglio di lei Trento, Veneto ed Emilia Romagna); 76/100 per l'area dell'assistenza distrettuale (10° posto, ben staccata soprattutto da Veneto, Toscana, Piemonte, Emilia Romagna); 86/100 per l'area dell'assistenza ospedaliera (7° posto dopo la provincia autonoma di Trento, Toscana, Veneto, Emilia Romagna, Marche e Piemonte).
Vale la pena di capire quali sono stati gli indicatori con basso punteggio, e cioè i punti deboli, che significano assistenza sanitaria non adeguata. Non bisogna però dimenticare che Regione Lombardia, nella sua gestione di destra, per anni e anni ha presentato il suo modello di servizio sanitario come il migliore d'Italia, se non d'Europa, ed è giunta perfino a prevedere l'istituzione di una "Agenzia per la promozione del sistema sociosanitario lombardo" per "promuovere presentazioni a livello internazionale del proprio sistema sociosanitario".
Con un po' di umiltà, quindi, la Regione dovrebbe guardare cosa non ha funzionato nel "modello lombardo" e il Rapporto lo dice con evidenza: l'area più debole è quella dell'assistenza distrettuale. Il punteggio è tanto più negativo sia perché è andato calando dal 2020, sia perché l'esperienza del Covid dovrebbe aver insegnato che senza una valida organizzazione territoriale (l'assistenza distrettuale, appunto) gli ospedali non reggono.
Poco importa se il risultato ha raggiunto la "sufficienza", perché il basso punteggio comunque significa disagio e sofferenza per i pazienti. È il caso dell'indicatore D30Z "Numero deceduti per causa di tumore assistiti dalla rete di cure palliative sul numero deceduti per causa di tumore" (46,93%); in parole povere, la maggioranza dei pazienti è deceduta senza poter contare sulle cure palliative.
Un altro indicatore insufficiente è il D27C "Percentuale di ricoveri ripetuti tra 8 e 30 giorni in psichiatria sul totale dei ricoveri per patologie psichiatriche": i servizi psichiatrici extraospedalieri non sono messi in grado di prendersi cura con continuità dei pazienti e quindi non hanno alternative a nuovi ricoveri.
Nel caso di "Eventi maggiori, cardiovascolari, cerebrovascolari o decessi [...] entro 12 mesi da un episodio di infarto miocardico acuto" (indicatore D01C) la Lombardia è tra le 4 regioni con la percentuale più alta (19,52%), il che significa che i pazienti non hanno potuto contare su un'efficiente assistenza continuativa dopo il ricovero.
Altri risultati negativi, sempre nell'area dell'assistenza distrettuale, riguardano: l'ospedalizzazione in età pediatrica per asma e gastroenterite (il peggior risultato d'Italia); l'assistenza domiciliare integrata (Adi) e le cure palliative, nei casi più gravi (CIA1), indicatore in cui la Lombardia occupa il penultimo posto in Italia, fatto gravissimo e quasi incredibile; l'alta percentuale di ospedalizzazione per diabete, broncopneumopatia cronico ostruttiva, scompenso cardiaco; l'alto tasso di accessi al pronto soccorso con codice bianco-verde (che significa difficoltà di accesso al medico di famiglia); l'alto tasso di accessi al pronto soccorso nelle ore notturne (cioè difficoltà di accesso alla guardia medica).
In sintesi, gli indicatori dell'area distrettuale confermano quel che si sapeva e cioè eccessi di ricoveri ospedalieri (e di pronto soccorso) che si potrebbero evitare con migliori servizi territoriali. Ma l'insufficienza più delicata riguarda l'assistenza domiciliare e le cure palliative, spesso erogate in ritardo solo nella situazione estrema.
L'area dell'assistenza ospedaliera è quella in cui la Regione, nel corso degli anni, ha investito di più, anche favorendo la crescita dell'ospedalità privata, ma i risultati, rispetto ai proclami pubblicitari, sono deludenti. La Lombardia è, come si diceva, al 7° posto. A spostare verso il basso la sua posizione ha contribuito, anche quest'anno, l'indicatore H13C (percentuale di pazienti over 65 con diagnosi di frattura del collo del femore operati entro 2 giorni in regime ordinario), indicatore che la dice lunga sulla preferenza accordata ad altre prestazioni chirurgiche meglio retribuite e sulle difficoltà degli ospedali, per la nota mancanza di personale, ad intervenire con rapidità. L'intervento dopo le 48 ore, in questo caso, determina l'insuccesso del recupero e la perdita della mobilità.
Per fortuna ci sono anche delle eccellenze: nell'area della prevenzione le cose vanno meglio e la Lombardia è al 4° posto: è il risultato del lavoro svolto dai dipartimenti di prevenzione nel corso degli anni, nella scia di un fermento scientifico e professionale animato fin dagli anni '70 dallo scienziato (e partigiano) Giulio Maccacaro. Altri indicatori eccellenti sono l'alta partecipazione alle vaccinazioni e il basso intervallo di tempo tra l'allarme e l'arrivo dei mezzi di soccorso.
Purtroppo i dati del Rapporto si limitano al livello regionale. Ma non è così dovunque. La Toscana, per esempio, pubblica i dati analitici, non solo per provincia, ma per ospedale e per distretto, consentendo così alle singole realtà di individuare i punti critici e adottare le misure adeguate, cosa che Regione Lombardia non fa.
Orazio Amboni
Dal periodico "Spi-Insieme"
Bergamo, settembre-ottobre 2025