Riabilitazione geriatrica - È necessario potenziare l'assistenza meno intensiva
Forse nessuna delle discipline sanitarie ha subito, in Lombardia, il travaglio del succedersi confuso di regole, classificazioni, modelli organizzativi che ha avuto, in questi anni, la riabilitazione. Un labirinto di norme che regolavano accreditamento sanitario, durata dei ricoveri, standard di personale, sistema tariffario... un labirinto nel quale era difficile muoversi per gli addetti ai lavori, figuriamoci per i pazienti. Ma ancor peggio è stata la ricerca dei confini stessi della riabilitazione, cioè di cosa si debba occupare questa disciplina.
In realtà i confini erano già tracciati dalla legge 833 del 1978 - la norma che ha dato vita al Servizio sanitario nazionale - che definiva prestazioni di riabilitazione quelle prestazioni sanitarie "dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa", prestazioni che, secondo la legge, sono erogate dalle Unità sanitarie locali insieme a "cura e prevenzione".
Negli scorsi anni, in Lombardia, si è cercato di restringere i confini: la riabilitazione avrebbe dovuto limitarsi a quei casi in cui il paziente "torna sano". Sarebbero cioè usciti dall'orizzonte della riabilitazione i casi di quei pazienti per i quali è esclusa una completa guarigione; come i pazienti cronici o i pazienti anziani con perdita di capacità fisiche e sensoriali. Per loro si prefiguravano canali separati (riabilitazione "di mantenimento", "cure intermedie"...). Sono dovuti passare anni perché Regione Lombardia si rendesse conto di fenomeni come la cronicità e l'invecchiamento.
Getta un po' di luce su questi aspetti il documento "Piano locale per l'assistenza riabilitativa", recentemente pubblicato dall'Ats di Bergamo. Per esempio, i posti letto di riabilitazione sanitaria si articolano in tre livelli: "Riabilitazione specialistica" (639 posti letto), "Riabilitazione generale e geriatrica" (123 posti letto) e solo 4 posti letto di "Riabilitazione di mantenimento", cioè quei ricoveri orientati a stabilizzare un paziente, evitando che la sua situazione peggiori e si aggravi.
Va notato che i posti letto delle strutture pubbliche sono 204 (26%), mentre quelli delle strutture private sono 577 (74%) e lo sbilanciamento verso la sanità privata cresce ulteriormente se accanto ai posti "sanitari" si conteggiano anche i 236 posti letto "sociosanitari", cioè i posti di riabilitazione gestiti da Rsa e Fondazioni. Sul totale, quindi, di 1.017 posti, le strutture pubbliche si limitano al 20% dell'offerta, mentre le strutture private e del no-profit arrivano all'80%. Un altro sbilanciamento si riscontra nella tipologia delle prestazioni. Infatti sia nell'ospedalità pubblica che in quella privata, l'orientamento è stato indirizzato prevalentemente verso la "riabilitazione specialistica" (80%), penalizzando quella "generale e geriatrica" e ancor di più quella "di mantenimento", che sono però molto più richieste, in quanto legate a invecchiamento e cronicità; il contrario di quanto avviene nelle strutture sociosanitarie, grazie alle quali si può contare su 216 posti letto specifici per questi livelli di assistenza meno intensiva.
Il "Piano locale" pubblicato da Ats stima in 568 il "fabbisogno" di posti letto in provincia di Bergamo, a fronte di un'attuale dotazione di 772 posti letto "sanitari". Avremmo quindi un eccesso di 218 posti letto, di cui 147 di riabilitazione specialistica e 71 di riabilitazione generale e geriatrica. In pratica si profila un taglio del 26% dei posti di riabilitazione. A parte le perplessità sui criteri con cui è stato calcolato il "fabbisogno", per capire quanto la realtà sia diversa basta constatare le quotidiane difficoltà dei pazienti nella ricerca di un posto letto o tener conto del crollo di ricoveri riabilitativi dovuto al Covid (-39% nel 2020) e non ancora recuperati: i ricoveri specialistici del 2023 sono stati 2.528, mentre nel 2018 erano 3.677. Si può condividere la necessità di un riequilibrio tra i vari livelli della riabilitazione, ma non certamente il taglio di più di un quarto dell'offerta.
Dal "Piano locale" emergono altri aspetti su cui vale la pena di riflettere: un forte sbilanciamento territoriale tra zona e zona, sia nel numero di ricoveri che nel numero di interventi domiciliari o ambulatoriali, la netta prevalenza degli interventi riabilitativi per disturbi del sistema osteomuscolare e connettivo (44,7%), delle malattie del sistema nervoso (31%), dei disturbi del sistema circolatorio (10,2%) e dell'apparato respiratorio (7%).
Ma il tema su cui sarebbe necessaria una maggiore riflessione è quello delle necessità riabilitative legate direttamente all'invecchiamento: per questo, più che un aumento dei ricoveri servirebbe un forte potenziamento dei servizi ambulatoriali e domiciliari. "La casa primo luogo di cura" dice il Pnrr: per questo servirebbe davvero dare un'accelerazione alla partenza di Case di comunità e Ospedali di comunità, strutture nelle quali è previsto che debbano trovare posto servizi riabilitativi territoriali, così come servizi di medicina generale.
Ma, come mancano medici e infermieri, mancano anche fisioterapisti e logopedisti. Purtroppo è difficile essere ottimisti: di recente in una delle tre Asst è terminato il corso per fisioterapisti; della ventina di partecipanti uno solo ha scelto di restare a lavorare nell'Asst, tutti gli altri hanno scelto di passare all'attività libero-professionale. O si rende più appetibile e gratificante il lavoro nel servizio pubblico, o sempre più la sanità sarà un servizio per chi può permetterselo.
Orazio Amboni
Dal periodico "Spi-Insieme"
Bergamo, gennaio-febbraio 2025