Pnrr Salute: a che punto siamo? - Il caso degli Ospedali di comunità nella nostra provincia
Tutti ricordiamo l'ansia e l'angoscia con cui abbiamo vissuto, specialmente qui in provincia di Bergamo, nei lunghi mesi del Covid. Una volta terminata la fase più acuta si è cominciato a discutere sul grado di efficienza e preparazione del servizio sanitario nell'affrontare le emergenze: dibattiti televisivi, giornali, libri, scienziati ed esperti sono stati unanimi nel sottolineare come il nostro servizio sanitario avesse dei punti deboli e debolissimi specialmente nella prevenzione e nei servizi extra-ospedalieri. Anche se adesso, da più parti, si tende ad attenuare, se non a nascondere, le carenze che ci sono costate lutti e sofferenze, la strada dei cambiamenti e delle riforme è comunque iniziata, soprattutto per iniziativa dell'Unione europea che ha avviato il programma Pnrr, all'interno del quale due "missioni" sono dedicate alle politiche sociali e alla sanità. Il programma Pnrr non si è limitato ad indicare la strada, ma ha anche sostanziosamente finanziato i progetti di rinnovamento.
Per la "Missione 6 Salute" ciò ha significato prevedere una serie di nuove misure che hanno riguardato Case di comunità, Ospedali di comunità, Centrali operative territoriali, Infermieri di famiglia e comunità, rafforzamento dei Distretti, dell'assistenza domiciliare, telemedicina, cure palliative. Non tutto è partito come ci si sarebbe aspettato, anzi, a distanza di due anni molto è ancora al grado zero o poco più.
Prendiamo il caso degli Ospedali di comunità. Secondo di Decreto applicativo del Pnrr (Dm 77/2022) si sarebbe dovuto realizzare un Ospedale di comunità dotato di 20 posti letto ogni 100.000 abitanti; quindi, per la provincia di Bergamo che ha 1.100.000 abitanti se ne sarebbero dovuti prevedere e attivare 11, per un totale di 220 posti letto. Forse a causa della mancanza di medici e personale sanitario, la Regione Lombardia, si spera solo per ora, ne ha messi in piano 6 (quindi 120 posti letto). Ma in realtà a oggi sono stati attivati solo 10 posti letto (che a gennaio dovrebbero diventare 20) all'Ospedale di comunità di San Giovanni Bianco, dipendente dall'Asst Bergamo Papa Giovanni XXIII.
Le altre due Asst non ne hanno ancora nessuno: gli altri Ospedali di comunità programmati (Ponte San Pietro, Martinengo, Treviglio, Calcinate, Gazzaniga) sono ancora in fase di costruzione o ristrutturazione o, peggio, di progettazione, anche se talora già "inaugurati" molti mesi fa. Il fatto che gli edifici fossero tutti già di proprietà delle Asst e che il primo Decreto di finanziamento fosse datato 6 agosto 2021 autorizza a pensare che l'attivazione degli Ospedali di comunità non rientrasse tra le priorità di chi dirige la Sanità in Regione Lombardia.
Questo per quanto riguarda gli ospedali pubblici. Per il settore privato l'unica iniziativa avviata è quella della Rsa Carisma di Bergamo di via Monte Gleno (che poi non è "privata" ma è una Fondazione con precise finalità sociali no profit) dove sono già attivi da giugno 20 posti letto.
Il ritardo del servizio sanitario pubblico è un vero peccato perché il bisogno esiste. Da anni si parla della necessità di diversificare i vari tipi di ospedale: già il Decreto 70 del ministero della Salute 2 aprile 2015 parlava di Ospedali di Comunità: "è una struttura con un numero limitato di posti letto (15-20) gestito da personale infermieristico, in cui l'assistenza medica è assicurata dai medici di medicina generale o dai pediatri di libera scelta o da altri medici dipendenti o convenzionati con il Ssn; la responsabilità igienico-organizzativa e gestionale fa capo al Distretto che assicura anche le necessarie consulenze specialistiche". Ma in tutti questi anni non se ne è visto uno, almeno in Lombardia, nonostante il bisogno esista "per i pazienti che necessitano di interventi sanitari potenzialmente erogabili a domicilio, ma che necessitano di ricovero in queste strutture in mancanza di idoneità del domicilio (strutturale e familiare)".
Ora, sotto la spinta del Pnrr, il Dm 77 prevede precisi standard di funzionamento: 7-9 infermieri (di cui un coordinatore infermieristico) per ogni 20 posti letto, 4-6 operatori sociosanitari, 1-2 unità di altro personale sanitario con funzioni riabilitative e un medico per 4,5 ore al giorno 6 giorni su 7. La durata del ricovero è prevista per un massimo di 30 giorni perché questo tipo di ospedali si rivolge a "pazienti con patologia acuta minore, che non necessitano di ricovero in ospedale o con patologie croniche riacutizzate che devono completare il processo di stabilizzazione clinica, con una valutazione prognostica di risoluzione a breve termine".
I vantaggi del funzionamento di queste strutture sono evidenti: non solo trovano un sollievo i pazienti che difficilmente potrebbero essere assistiti a casa, ma anche i reparti ospedalieri per acuti potrebbero avere maggiore possibilità di prendere in carico pazienti gravi e alleggerire le liste d'attesa, che esistono non solo per le visite specialistiche ma anche per i ricoveri.
Ma come si spiegano questi ritardi? Ci sono certamente delle scusanti nelle difficoltà a reperire personale dei vari profili sanitari, difficoltà non neutrali, ma che dipendono da scelte politiche su priorità e investimenti; scelte che hanno causato un abbandono della professione e un orientamento verso altre categorie lavorative, basti pensare al brusco calo del numero di candidati alle prove selettive per le professioni infermieristiche o ai numerosi posti vacanti per gli incarichi di medico di medicina generale.
Orazio Amboni
Dal periodico "Spi-Insieme"
Bergamo, novembre-dicembre 2024