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Sanità

Dimissioni protette - Dove andare dopo l'ospedale?


dimissioni-protette-webred Tutti, purtroppo, conosciamo il calvario che spesso devono affrontare le persone non autosufficienti e i loro familiari alla ricerca di assistenza temporanea dopo un periodo di ricovero ospedaliero al termine del quale non ci sono le condizioni per un rientro a casa, o perché la persona è sola, o perché il bisogno di assistenza è ancora elevato, o perché l'abitazione non è adeguata.

red Per fronteggiare questo problema, già da diversi anni si sono messi a punto dei protocolli per le dimissioni protette, sottoscritti dagli ospedali (pubblici e privati), dall'Asl, dai Comuni. In questi accordi gli ospedali si impegnavano ad assicurare continuità di cura dopo le dimissioni, a mantenere contatti con i medici di base e con i servizi sociali comunali, a formare il proprio personale, a gestire i rapporti con i familiari dei ricoverati, preparando per tempo le condizioni per il dopo dimissioni. Qualche risultato si è anche raggiunto, ma non sono mancati i casi di familiari messi di fronte a dimissioni non preparate che si sono rivolti alla Magistratura e ai Carabinieri per bloccare le dimissioni, o i casi di Comuni non in grado di sostenere le spese per l'assistenza post ricovero. Certamente non ha aiutato la mancanza, da parte della Regione, di norme vincolanti per tutti i soggetti coinvolti e di finanziamenti adeguati.

red Con il Covid le cose sono un po' cambiate: è apparso chiaro per tutti che l'inadeguatezza dell'assistenza territoriale non poteva più essere tollerata, perché riversava completamente gli oneri sugli ospedali, già in difficoltà. Ecco allora che il Pnrr ha previsto e finanziato alcune "Missioni" - come la Missione 5 "Inclusione e coesione" e la Missione 6 "Salute" - finalizzate proprio al rafforzamento delle strutture sociali e sanitarie territoriali. Sono nati così: case della comunità, ospedali di comunità, infermieri di famiglia e comunità, progetti per l'assistenza domiciliare ("la casa come primo luogo di cura") e le dimissioni protette.

red Va detto che l'obiettivo della continuità assistenziale anche al domicilio era già stato affrontato nel 2017 con l'approvazione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), cioè prestazioni da assicurare su tutto il territorio nazionale, come diritto di cittadinanza con fondamento nella Costituzione. L'articolo 22 del decreto istitutivo dei Lea prevedeva tre diversi livelli di assistenza domiciliare (Adi, Assistenza domiciliare integrata) a seconda della gravità e complessità dei casi, assistenza "interamente a carico del servizio sanitario nazionale per i primi 30 giorni dopo la dimissione ospedaliera protetta e per una quota pari al 50% nei giorni successivi". La normativa regionale lombarda prevedeva inoltre che l'assistenza domiciliare dovesse essere attivata entro 48/72 ore dalle dimissioni ospedaliere.

red Il "Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023" stabiliva poi che - con accordo tra ospedale, Distretto, medico di base, servizi sociali del Comune - venisse predisposto un "Piano individuale di assistenza integrata" con una prestazione assistenziale "che va da un servizio non inferiore alle 6 ore giornaliere ad un servizio in continuità h24, ove le condizioni alloggiative lo consentano". Difficile immaginare quale Comune o quale azienda ospedaliera sia riuscita, in questi anni, a gestire un servizio di assistenza domiciliare di almeno sei ore giornaliere, seppure in un contesto che ha visto crescere l'offerta di servizi per la domiciliarità. Insomma, un conto è scrivere delle belle leggi, un altro è creare le condizioni perché vengano davvero applicate.

red Dal punto di vista del dopo dimissione dall'ospedale, però, il problema più grosso non è l'assistenza domiciliare che, soprattutto sul fronte sanitario, funziona (secondo il monitoraggio dell'Agenzia Stato-Regioni, la Lombardia in materia di Adi raggiunge un buon punteggio, ma ci sono ben nove Regioni che hanno ottenuto migliori risultati).
Il problema vero è quello che il Piano operativo per la Missione 5 del Pnrr definisce "i colli di bottiglia": cioè a fronte di numerose richieste di dimissioni protette, non a domicilio ma in una struttura sanitaria o sociosanitaria, non ci sono posti a sufficienza per dare una risposta a tutti.

red Ci sarebbero diverse possibilità, ma insufficienti: gli ospedali bergamaschi, tra pubblici e privati, contano 4.040 posti-letto ordinari, ma quelli "sub-acuti" (cioè quelli utilizzati per le cure post dimissioni) sono 142, il 3,5%. Una percentuale davvero non adeguata e che si spiega solo con la corsa delle strutture a puntare su prestazioni economicamente più remunerative, in assenza di diverse indicazioni da parte della Regione. Una pezza ce la mettono le strutture socio-sanitarie, cioè le Rsa, dove i posti di "cure intermedie" (l'analogo dei posti "sub-acuti") sono 305. Ma se si pensa che ogni giorno le dimissioni ospedaliere sono diverse decine e che i ricoveri di convalescenza assistita sono di diverse settimane (fino a 30 giorni), non stupisce che i posti disponibili si riempiano facilmente e che trovare un posto sia davvero un'impresa (anche a pagamento nelle Rsa, come posto di "sollievo").

red Allora che fare? Prima di tutto le situazioni di non autosufficienza non più gestibili a domicilio vanno subito segnalate, non al momento delle dimissioni, ma al momento del ricovero, così da consentire agli operatori di organizzare per tempo un percorso assistenziale adeguato. In ogni struttura ospedaliera esiste un "Centro dimissioni protette" cui rivolgersi, specie se nel reparto di ricovero non è stato possibile trovare ascolto. I reparti di ricovero sono sotto pressione per le liste d'attesa e per la scarsità di personale e per questo c'è la tendenza a dimettere velocemente, così da consentire nuovi accessi.

red È chiaro che la situazione può cambiare solo potenziando l'offerta di posti letto. Ai due ospedali di comunità finora attivati (Calcinate e San Giovanni Bianco) devono aggiungersi anche gli altri quattro già programmati (Ponte San Pietro, Martinengo, Treviglio, Gazzaniga). Di recente la casa di riposo Carisma (più nota come "il Gleno") si è aggiudicata un bando per la gestione di un nuovo ospedale di comunità che metterà a disposizione altri 20 posti letto.
L'aumento dell'offerta certamente aiuterà, ma sarà indispensabile assumere nuovo personale, cosa che, tutti sappiamo, non sarà semplice. Sarà poi necessario migliorare coordinamento e collaborazione tra ospedali, medici di base, servizi sociali, Rsa per gestire in modo più organizzato questa difficile situazione.

Orazio Amboni
Dal periodico "Spi-Insieme"
Bergamo, maggio-giugno 2024