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Sanità

Sorpresa: i medici ci sono, ma dove?

Varie figure professionali "in fuga" dal servizio pubblico

red È ormai drammatica la mancanza di personale sanitario (medici e infermieri soprattutto) sia negli ospedali che nelle strutture sociosanitarie come le Rsa, per non parlare della medicina di cure primarie (i "medici di base"). Le conseguenze sono ben note: interi comuni senza medico, pronto soccorso super affollati, tempi d'attesa lunghissimi e, conseguenza delle conseguenze, il ricorso ad assistenza a pagamento fuori dal servizio sanitario nazionale. Si parla di carenza di medici. Ma in realtà non c'è carenza di medici. I medici ci sono, i laureati in medicina sono in continuo aumento. In provincia di Bergamo, secondo i dati forniti dall'Enpam, l'ente assicurativo previdenziale del settore, i medici erano 3.666 nel 2019 e nel 2021 sono diventati 3.853 (+5%): ma allora, perché mancano?

red Una parte, i più giovani, ma non solo, se ne va all'estero (Svizzera, Germania, Francia, Inghilterra), sia per farsi un curriculum sia perché le retribuzioni sono molto più elevate: farsi una decina d'anni in qualche ospedale prestigioso all'estero consente, quando si decide di tornare, di avere più facilità nel vincere un concorso e di poter disporre su una discreta somma di denaro guadagnata e risparmiata.
C'è poi una parte, sempre più consistente, di medici che abbandonano il servizio pubblico per trasferirsi nelle cliniche private. Si tratta soprattutto di specialisti in chirurgia e altre discipline particolarmente ricercate. Nelle strutture private l'organizzazione aziendale è pensata per valorizzare al massimo gli impianti: le prestazioni sono, in prevalenza, di "elezione", cioè prenotate per tempo (non quindi le urgenze e le emergenze) e tali da ottenere un tasso di occupazione dei posti letto il più vicino possibile al 100%. È così, per esempio, per le protesi d'anca, per l'ortopedia, per l'ernia addominale. Ai medici, in questo sistema, si possono offrire retribuzioni assai più alte che nel servizio pubblico, specie se il medico si è "fatto un nome" per qualche anno nell'ospedale pubblico e può costituire un fattore di richiamo per più "clienti".

red Ad alimentare la fuga verso il privato ci sono, poi, le sempre più difficili condizioni di lavoro per i medici (e le altre figure professionali), con turni faticosi, a volte tensioni con i pazienti esasperati per attese di ore (ai pronto soccorso), difficoltà ad usufruire di ferie e permessi previsti dai contratti di lavoro.
Da qui la scelta di dimettersi e aprire uno studio come specialista, oppure mettersi sul mercato come "gettonista", cioè lavorare a chiamata, non come dipendente ma pagato "a gettone", con retribuzioni spesso molto superiori a quelle dei dipendenti. Va detto che quella dei gettonisti è una soluzione che non gioca a favore della qualità delle cure: nessun rapporto umano col paziente, nessun lavoro di squadra con i colleghi, indifferenza per il risultato delle cure.

red Problemi analoghi anche per i medici di medicina generale: non solo, con l'invecchiamento della popolazione, vi sono più pazienti da seguire, anche domiciliarmente, ma il fenomeno delle "fughe" comporta la crescita continua del numero di pazienti per ogni medico. La Lombardia con i suoi 1.408 assistiti per ogni medico è al secondo posto in Italia, mentre la media nazionale è di 1.224. Sono valori medi, il che significa che in Lombardia e a Bergamo si va oltre il tetto massimo di 1.500 previsto dalle norme. È chiaro che con numeri così alti c'è poco spazio per un ascolto del malato e dei suoi problemi di salute, per le visite a domicilio, per seguire con continuità l'esito delle malattie e delle cure. Anche per i medici di cure primarie, quindi, non mancano i motivi di insoddisfazione e la ricerca di soluzioni lavorative migliori, non solo dal punto di vista economico ma anche e soprattutto da quello professionale.

red La situazione è quindi, oggi, davvero difficile, anche perché il discorso fatto per i medici si può ripetere in gran parte anche per gli infermieri. E le carenze non riguardano solo ospedali e ambulatori di cure primarie, ma anche le Rsa, dove la mancanza di infermieri è ormai drammatica e mette a rischio di scendere sotto gli standard di personale richiesti per l'accreditamento regionale delle strutture. Per trattenere in servizio gli infermieri, già alcune Rsa hanno cominciato ad offrire compensi extracontrattuali che si avvicinano alle retribuzioni dei medici, e anche qui si sta producendo il fenomeno dei gettonisti.
Non sono, dunque, problemi solo economici: sono messi a rischio i livelli delle cure e i diritti costituzionali all'assistenza sanitaria (si pensi, ad esempio, ai cittadini da mesi senza il medico di cure primarie).

red Chi si aspettasse dalla Legge di bilancio qualche soluzione resterebbe deluso. Lo stanziamento straordinario per aumenti retributivi per chi lavora nei pronto soccorso c'è, ma a partire dal 2024. E intanto la fuga continua e l'impoverimento del servizio pubblico si aggrava. Solo adeguamenti retributivi che rendano attrattiva l'occupazione nel servizio pubblico possono arrestare la fuga e possono evitare che i concorsi per medici e per infermieri restino deserti. Solo così sarà possibile ridurre le liste d'attesa e migliorare la qualità dell'assistenza.
Certo, con le proposte di ridurre le tasse ai ceti benestanti (flat tax), con i condoni fiscali e con l'aumento del tetto per i pagamenti in contanti (più facilità di evadere e riciclare) sarà difficile avere risorse a sufficienza per cambiare davvero.

Orazio Amboni
Dal periodico "Spi-Insieme"
Bergamo, gennaio 2023